Tuxedo

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Via Belfiore, 8, Torino, TO, Italia

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>>> Intervista con Roberto Spallacci, operatore culturale e resident selector del Tuxedo fino al 1986 <<<

Il Tuxedo è stato uno degli spazi più seminali degli anni '80, catalizzatore di esperienze musicali determinanti per il contesto culturale Torinese.

CF: Torino negli anni ’80, come si viveva?

RS: Torino negli anni 80 era una città cupa, underground molto operaia, pervasa dalla produzione FIAT, con gli operai al mattino addormentati sui tram dopo aver lavorato la notte in fabbrica; una città molto produttiva, ma molto oscura e in quegli anni tra l' altro ci sono fenomeni socialmente rilevanti come le Brigate Rosse e problemi di forte consumo di eroina. Spesso e volentieri venivi fermato, a volte c’erano retate nei locali e arrivavano le forze dell'ordine a fare intense perquisizioni, ad un certo punto accade purtroppo anche la tragedia del Cinema Statuto che cambia un po' tutto lo scenario e vengono fatti controlli e molti spazi chiudono se non hanno soldi per fare i lavori, necessari per portarsi a norma Una minoranza di artisti, musicisti, e persone culturalmente attente, curiose si è ribellata a quello che stava vedendo e vivendo in quel decennio, questa minoranza è stata germinale per poi arrivare appunto agli anni Novanta quando si sono raccolti i semi di quei processi e Torino è stata percepita come la capitale della musica italiana per i nuovi suoni

CF: E in questa atmosfera come nasce il Tuxedo?

RS: Il Tuxedo apre la sua programmazione ai nuovi suoni intorno al 1980, io inizio fin da subito la mia esperienza con questo club sito in Via Belfiore, un Club destinato a essere un culto di quegli anni torinesi, e poi intorno al 1986 lascio il Tuxedo per unirmi a Lorenzo Betetto e Joe Costa per lanciare la serata del sabato PopPlanet allo Studio Due. Il quartiere di San Salvario dove appunto era situato il Tuxedo, era il classico quartiere dietro la stazione molto grigio con prostituzione, un po' malavitoso e non lo si frequentava per andare a bere qualcosa o al ristorante come ora. Il Tuxedo nasce già negli anni Settanta con una dinamica completamente diversa, un night dove andavano famiglie molto altolocate di Torino - addirittura si dice che ci andassero gli Agnelli - gli iscritti avevano la chiave della porta per entrare e armadietti dove potevano riporre le loro bottiglie preferite se avevano gusti particolari. Era una tipologia di vivere i locali, la notte che poi sparisce nel momento in cui la città si trasforma e per problemi sia di nascita del fenomeno lotta armata, sia di criminalità, quella classe sociale che frequentava i club inizia a sparire a frequentare altri ambienti e a ritirarsi nelle case in collina oltre il Po. Sono gli anni in cui sta finendo lo slancio della disco music e in una serie di discoteche a Torino iniziano ad esserci situazioni non belle, scoppiavano spesso risse intense in spazi come il Big o il Nepenta, che avevano vissuto i loro anni d' oro fino al 76-77 e che adesso cominciano ad andare in crisi. Il Tuxedo era di proprietà di Rina Nardini, mitico personaggio poi soprannominata “la vecchia del Tuxedo” visto che al tempo aveva circa già sessanta anni - e vive anche lui una crisi di identità e di risultati economici. In questo contesto Rina che era una persona incredibilmente dinamica, decide di prendere un’altra strada e inizia a fare feste tematiche di giovedì sera con Monica Smith, personaggio a metà tra la Torino bene e quella alternativa, portando delle persone che prima probabilmente non sarebbero mai andate nei locali. Nello stesso periodo io avevo iniziato un percorso seminale con degli amici, organizzando delle serate in un locale che si chiamava il Fire in via Principessa Clotilde dove mettevamo musica new wave proponendo serate tematiche dedicate ai Talking Heads, ai Devo, ad altri gruppi che ritenevamo i migliori del panorama wave, sempre al Fire si è svolta una delle prime apparizioni/performance dei Righeira prima della fama poi planetaria. Quindi vengo contattato da Monica Smith e incomincio con il ruolo di dj a sonorizzare i giovedì sera portando quello che era il mio background musicale principale, ovvero la new wave. Man mano il Tuxedo si impone in città per questa novità di selezione musicale e le serate aumentano fino a coprire dal martedì alla domenica: 6 serate con un processo notevole di ampliamento e fidelizzazione della clientela. Moltissime persone arrivano in quegli anni a identificarsi nel club e a passarci anche 3/4 serate alla settimana.

"Insomma gli 80 possono essere considerati come una palestra di transizione in un clima non facile dove pochi ma precisi punti di riferimento hanno aiutato le persone ad avvicinarsi e riconoscersi creando community stabili"

CF: Come si rapportava il Tuxedo con la propria clientela?

RS: Un aspetto da considerare è che siamo negli anni Ottanta, anni di crisi economica, e si decide di avere dei prezzi bassi e inclusivi, alcune serate erano anche omaggio e il Club lavorava molto di più sugli incassi bar e guardaroba che non sul ingresso a pagamento. Un atteggiamento friendly soprattutto per il tipo di pubblico misto e giovane che non aveva molte possibilità economiche. È sempre Rina che sta alla porta come door selector con un suo approccio molto attento per non rischiare di avere problematiche legate a mix sbagliati di pubblico. Si cerca di dare un’identità al luogo unendo i creativi, con la community di wavers, dei cosiddetti “Darkoni”, riconoscibili per look e per la pettinatura. Comunque non è facile entrare al Tuxedo e quindi si crea un po’ il mito. Era un locale che con 400/500 persone era già molto pieno ma durante la serata si riusciva ad avere un grande ricircolo di pubblico, perché in quegli anni il sabato sera il club apriva le sue porte addirittura alle 21:30 con 200/300 persone fuori ad aspettare per poi finire intorno alle 3 in settimana e intorno alle 4 nel weekend. I ragazzi più giovani che viaggiavano in pullman andavano via a mezzanotte e mezza e subito dopo arrivava invece un pubblico di ragazzi tra i 20 e 30 che rimanevano fino a chiusura.

"Le persone si mescolano, non c’erano discorsi di quartiere perché la musica univa, e un “Darkone” poteva essere anche di Falchera ma quando arrivava davanti al Tuxedo era come essere a casa, le persone si sentivano protette."
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CF: Tu eri praticamente il resident del Tuxedo, come si evolve il tuo rapporto con il club?

RS: Nel 1983 mettevo dischi tre sere alla settimana, il giovedì, il venerdì e il sabato; quindi a un certo punto coinvolgo Lorenzo Betetto (poi Lorenzo LSP) come support dj, questo dopo averlo sentito suonare allo Studio 2 dove era uno dei dj della serata domenicale Double Face, mi piaceva il suo approccio musicale ed era importante iniziare ad avere una scelta un po' diversa dalla mia su così tante ore settimanali di programmazione Dall’ ‘80 all’ ‘86 passano tante altre personalità e ci terrei sicuramente a citare Alberto Campo e Renato Striglia che arrivavano da Radio Flash, Alessandro Calovolo giornalista di Rumore. Compaiono ad un certo punto Marco Stevanato e Aldo Chimenti, due personaggi che riescono a mettere musica elettronica assolutamente sperimentale tipo i Resident in discoteca con un atteggiamento tra l’avant garde e il provocatorio. Un altro aspetto importante è che almeno nella prima parte quasi tutti i dj sono più dei selezionatori di suoni che non dei deejay professionisti bravi a mixare in battuta, e si identificano per la capacità di trovare e accostare brani non usuali.

CF: Interessante, com’era la figura del dj negli anni ’80 a Torino?

RS: La figura del dj professionale arrivava più dal campo radiofonico, ad esempio Mixo che trasmettendo da radio più mainstream aveva un approccio maggiormente professionale con la ricerca del mixaggio in battuta, mentre altre persone ancora si stavano un po’ inventando negli anni 80. Alberto Campo, Renato Striglia e altri arrivavano dal indie rock ed erano degli ottimi dj radiofonici (anche esperienze in RAI) selezionatori attenti per poi raggiungere anche il giornalismo Fino direi all' 86, non c'è ancora il mito del dell'ospite Dj, protagonisti quindi i selector locali e si comincerà poi con lo Studio 2 ad invitare artisti internazionali. Al Tuxedo abbiamo i primi live di gruppi wave locali e nazionali Monuments, Tecnospray, Litfiba e Diaframma, ma la novità principale era l’attitudine e l’approccio musicale. La radio era il mezzo diciamo principale di comunicazione, il Tuxedo aveva spazi pubblicitari su Radio Flash e Radio Torino Popolare, i Flyer erano degli A4 fotocopiati molto do-it-yourself. Si è svolta nel 2018 una mostra organizzata dai Ivano Bedendi allo studio 515 di Via Mazzini con del materiale notevole perché la grafica e l'approccio era un’attitudine molto diversa dal flyer patinato e ricercato degli anni 90.

CF: Come faceva il Tuxedo a distinguersi nel panorama dei club cittadini?

RS: Tra le cose importanti di questa avventura del Tuxedo prioritaria la possibilità di fare con la musica delle sperimentazioni a volte veramente notevoli. In linea generale era una discoteca che spendeva moltissimo in ricerca musicale e dischi, io stesso mi occupavo di comprare tutte le settimane un ingente quantitativo di dischi che andavo principalmente a comprare da Rock and Folk, che in quel periodo ero forse il miglior negozio di dischi di Italia. Poi per ispirazioni di altro tipo andavo spesso a Milano a ballare al Plastic, che era un po' il referente dell’avanguardia a livello di design e personaggi legati alla moda potevi trovare persone come Malcolm McLaren a ballare al Plastic.

"Dopo la mezzanotte e mezza circa si iniziava a provare cose nuove, e dopo alcuni periodi di transizione in cui si introducevano suoni nuovi e la pista faticava un po’, i suoni venivano assimilati e accettati."

RS: Dietro la consolle DJ del Tuxedo c'era un notevole scaffale di dischi, che mi occupavo di tenere il più possibile ordinato, il che metteva a disposizione del dj un buon range di generi, dall' elettronica, al punk, al rock indipendente tipo Smiths, fino poi a nuove contaminazioni più funky, arrivando a gruppi come i A Certain Ratio con un suono più percussivo. L’attitudine era quella di prendere non solo il mix version delle tracce, che nascono per essere messe nei club, ma di comprare anche gli album per ricercare qualcosa di non scontato che potesse funzionare in serata e far ballare. Ogni dj ovviamente si portava la sua valigetta di dischi per dare un tocco particolare alla scaletta proposta. Al Tuxedo poi passano una serie di live di gruppi cittadini della scena underground tra cui i The Fear, Monument, Carmody, I Tecnospray, la scena musicale che sta nascendo a Torino come reazione di una serie di persone che non vogliono arrendersi a questa città così strettamente operaia, in cui il futuro sembra essere soltanto quello di andare a lavorare alla FIAT. Altra cosa importante, al Tuxedo nasce il videoclip come forma di espressione artistica nei club: all'inizio degli anni Ottanta siamo uno dei primi club che li utilizzano a inizio serata o talvolta in serata cercando di sincronizzare l'audio del disco esattamente con la partenza del clip. E così si inizia a far vedere e far ballare il pubblico con videoclip tipo “Forest” dei Cure o i clip di Kid Creole & The Coconuts andando magari a trovare il materiale a Londra e anticipando di qualche mese quello che sarebbe poi arrivato qui. L’immagine legata alla musica diventa una novità assoluta.

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CF: Con il cambiamento delle scene musicali come cambia il Tuxedo nel corso degli anni ‘80?

RS: All' inizio con queste feste di Monica Smith arrivò una Torino creativa e alternativa di quelli che facevano i viaggi già in India, un po’ freak e chic anche di buona famiglia; poi con tutta questa dinamica di ricerca musicale il Tuxedo diventa il punto di riferimento per tutti coloro che si identificavano con la New Wave che da un certo punto di visita è stata comunque uno tsunami creativo. Le persone si mescolano, non c’erano discorsi di quartiere perché la musica univa, e un “Darkone” poteva essere anche di Falchera ma quando arrivava davanti al Tuxedo era come essere a casa, le persone si sentivano protette. In termini di musica cercavamo di introdurre sempre nuovi suoni, anche perché eravamo in una continua ricerca musicale. Intorno all’83 iniziamo ad introdurre l’hip-hop con i primi brani tipo The Message, White Line; si inizia poi a introdurre questo funky sporco che stava emergendo nella new wave inglese, e per la scena Dark è stato un po' scioccante anche se già le nostre scalette non erano tanto prevedibili, potevi sentire i Cabaret Voltaire, Daniel Dax, i Chrome, insieme ai Cure, i Soft Cell, i Japan. Dopo la mezzanotte e mezza circa si iniziava a provare cose nuove, e dopo alcuni periodi di transizione in cui si introducevano suoni nuovi e la pista faticava un po’, i suoni venivano assimilati e accettati. Era interessante vedere come questi processi potessero avvenire senza una rottura o cambio radicale del locale, a livello di musica si era molto aperti e si cercava di capire il valore più profondo musicale, senza etichette e steccati

CF: E a livello musicale cosa si smuove in quegli anni a Torino?

RS: In quegli anni cominciano a muovere i primi passi tantissimi musicisti Torinesi, tra cui Max Casacci, Madasky, iniziano con le loro band a provare ad avere qualche locale dove realizzare i primi live. Nasce una scena che si fa le ossa negli anni Ottanta in una Torino abbastanza aspra, la scena musicale riesce a raggrupparsi, a parlarsi e a porre le basi per la nascita di band, e progetti musicali divenuti poi negli anni ‘90 di rilevanza nazionale: come i Subsonica i Mau Mau gli Africa Unite. Si crea anche un' attitudine di luoghi e professionisti come un Carlo Rossi e i suoi mitici studi di produzione di fama nazionale Poi l’apertura di una quantità notevole di locali e spazi ha permesso la moltiplicazione delle possibilità di espressione anche un po’ più edoniste tra i Murazzi i Docks Dora, dove tutto quanto si amplifica permettendo poi lo sviluppo seminale della scena elettronica predominante per dj e producers negli anni 2000. Insomma gli 80 possono essere considerati come una palestra di transizione in un clima non facile dove pochi ma precisi punti di riferimento hanno aiutato le persone ad avvicinarsi e riconoscersi creando community stabili, cosa che oggi sarebbe più complicato.

CF: Ora i flussi di informazione sono talmente saturanti che è difficile poi tradurre a livello comunitario, rimangono sfuggenti.

RS: Non sono molto digitale, ma penso che la dinamica dello scambio continuo di opinioni, reliquie, fake news sul digitale e i social da un lato amplifichi la possibilità di avere tantissima relazione digitale dal altro canto però magari ti porta ad avere meno relazioni reali fisiche nei luoghi con le persone. Invece negli anni 80 il pubblico era molto fidelizzato, magari vedevi la stessa persona che andava nello stesso spazio 3-4 sere a settimana e diceva questo è il mio club, si creava un’identificazione veramente totale. Tra l’altro c’erano dei locali di riferimento che erano un po’ l’evoluzione della birreria dove non sempre si ballava ma la selezione musicale proposta era attenta ai nuovi suoni tra questi ricordo il Metrò, il Polaroid e Le Vocali anche questi erano posti identificativi dove ritrovarsi per la scena new wave degli anni 80 torinesi

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