Paradise Discotheque, 2015 – 2021

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Pubblichiamo qui di seguito la prefazione alla nuova versione del libro Paradise Discotheque, 2015 – 2021 di Antonio la Grotta stampato in edizione limitata di 100 copie e ordinabile qui.

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Discoteche abbandonate, migliaia di metri quadrati di cemento adibiti a macchine del divertimento, disperse tra le province italiane, naufraghe in mezzo a campagne e zone industriali dai paesaggi ipnotici.
Se guardi con attenzione ti sembra quasi di intravedere tra le scale in rovina, le colonne romaniche ed i cavi che pendono dai soffitti, le ombre della moltitudine di nomadi del weekend che attraversarono i templi dell’edonismo italiano.
Oggi viene difficile immaginare un luogo ad Airasca, in provincia di Torino, in cui circa 8000 persone si ritrovavano ogni weekend a ballare i suoni duri della techno. Erano gli anni ‘90 e l’Ultimo Impero sfoggiava il suo primato di discoteca più grande d’Europa con 7 sale da ballo disposte su quattro piani.
Per decenni queste mega-discoteche dalle architetture straordinarie godono di prestigio e popolarità internazionale, sono punti di riferimento per la vita sociale notturna di migliaia di giovani ogni weekend.
E poi di colpo, nel giro di pochi anni, tutto finisce, il nuovo millennio getta un’ombra sulle mega discoteche italiane la cui memoria sbiadisce velocemente, inghiottita dall’accelerazione frenetica del presente.

Ma per provare a comprendere l’espansione e l’implosione del fenomeno delle mega-discoteche si deve aprire lo sguardo sulle trasformazioni profonde che coinvolsero l’Italia a partire dalla seconda metà del ‘900.
Dal dopoguerra in poi la società del consumo è in piena espansione, e dagli anni ‘70 diventa sempre più evidente come la formula esistenziale “adolescenza – età adulta – lavoro – famiglia” si stia pian piano dissolvendo.
La dimensione temporale della gioventù si dilata, e con essa le possibilità di scoprire, trasgredire, e di divertirsi collettivamente – i giovani diventano sterminati 1.
In questo contesto evolve la discoteca, spazio di divertissement giovanile che, prima di essere luogo fruizione musicale e creatività, si afferma come “mausoleo delle voglie represse e delle ambizioni frustrate”.
Le disco iniziano a creare mondi ultraterreni, imbevuti di esoticità, estetiche altisonanti, punti di fuga dalla realtà localizzati in coordinate improbabili, tra campi, fabbriche e tangenziali.
Santhià, Magliano Alpi, Cossato, Caraglio, Borgo San Dalmazzo, Tarsogno di Tornolo, Porto Viro, Romano Canavese. Sono solo alcuni dei territori che negli anni ospitano questi non-luoghi di esaltazione e piacere, in un mondo che ancora definisce le tendenze ed i place to be con contorni nitidi e riconoscibili.

Si crea un circuito di entertainment di massa che sembra non avere mai fine, con celebrità che si esibiscono ogni weekend davanti a migliaia di persone in discoteche da fine del mondo, dando l’idea che la provincia Italiana non sia poi tanto diversa dai club di New York, Londra e Ibiza. Girano le divinità internazionali à la Grace Jones, insieme a star nostrane del calibro di Roberto Benigni, Loredana Bertè, Battisti e Modugno, fino ai astri nascenti della dance nostrana come Claudio Coccoluto e Gigi D’Agostino.

Eppure, sotto la superficie apparentemente eterna ed inscalfibile, i mega-divertimentifici nascondono crepe di fragilità capaci di inghiottire l’approccio laissez faire e la leggerezza naif caratteristici del tempo.

Con l’arrivo del nuovo millennio il paradiso si frantuma con fragore, il disincanto irrompe con una rapidità micidiale e le mega disco scompaiono in fretta, quasi con vergogna, accompagnate da fatti di cronaca, miti e leggende.
È la provincia horror 2 con le “stragi del sabato sera” ed i movimenti di protesta delle mamme anti-rock che urlano alla necessità di contenere gli orari ed i costumi devianti delle nuove generazioni.
A dare il colpo di grazia emergono poi abusi edilizi, connessioni con la criminalità e le frodi mentre là fuori un nuovo mondo avanza, accelera e si iperconnette.

Si impone a ritmi frenetici la dilatazione dello spazio digitale che assieme ai voli low-cost apre possibilità prima inimmaginabili, rendendo più vicine ed accessibili le grandi città del clubbing europeo. Il costo di un’andata e ritorno per Berlino è quasi come quello di un viaggio da Torino a Milano…costa di più andare in una disco locale che fare un weekend al Ministry of Sound di Londra.

Ma soprattutto, con la fine degli anni novanta si sancisce definitivamente la – lenta – fine della città fordista, con il suo modello di vita e socialità legato ai ritmi circadiani dell’industria; le fabbriche erano state delocalizzate, ed i loro scheletri in disuso avevano dato una spinta in tutta Europa ad altre forme di espressione collettiva, con meno controlli, più accessibili e meno patinate delle discoteche.
Le controculture avevano iniziato ad esprimersi in maniera dirompente in dancefloors temporanei, i rave offrivano un mondo dove non serve andare in giacca e cravatta per scoprire i suoni della contemporaneità, dove l’esclusività e le selezioni all’ingresso vengono sostituiti da messaggi di peace, love e unity. C’era stata la seconda Summer of Love e, parallelamente alla grande stagione dei party, avevano preso piede i club urbani dalle dimensioni più limitate, con offerte più flessibili ed economiche. Si era alle porte dell’era dei grandi dance music festival con line up stellari e modelli innovativi di spettacolo e coinvolgimento, che stravolgeranno di nuovo il modo di vivere e percepire il dancefloor.

Con la quasi totale scomparsa dei mega club in Italia, esce di scena l’idea della discoteca-icona, del landmark del divertimento territoriale – sostituita rapidamente da nuove anti-pratiche di dancefloors.
D’altronde guardandosi indietro, il clubbing appare come un fenomeno in moto perpetuo e dinamico, in dialogo continuo con i contesti storici in cui si manifesta; dalle balere ed i cabaret di inizio novecento, ai club radicali degli anni ‘60 ed il proto club ai Continental Baths, dai club glam di New York, passando per gli squat club di Berlino e le warehouse inglesi, arrivando poi ai pop-up clubs ed ai club esclusivi di Ibiza e Las Vegas.
Per quanto il presente oggi ci sembra più incerto che mai – we’ve lost dancing – altre forme di dancefloors risponderanno a nuovi contesti ed ecosistemi sociali; sono le persone che li attraversano e facilitano ad avere il compito di scegliere su quali fondamenta costruire un nuovo clubbing, sempre partendo dai linguaggi ed urgenze della contemporaneità.

This year we’ve had to lose
Our space, we’ve lost dancing
We’ve lost the hugs with friends and
And people that wе loved
All these things that wе took for granted
If I can live through this
What comes next
Will be
Marvellous

Marea (We’ve Lost Dancing) by Fred again.. feat. The Blessed Madonna

Bibliografia:

  1. Canevacci, M. (2003). Culture extreme. Mutazioni giovanili nei corpi delle metropoli. Meltemi Editore srl.
  2. Antonelli, C., & De Luca, S. (2006). Discoinferno: storia del ballo in Italia 1946-2006. Isbn Edizioni.